we dance to all the wrong songs

Ma quale vittoria del p2p?

Posted: Gennaio 27th, 2009 | Author: | Filed under: news | 2 Comments »

Pochi giorni fa, su Repubblica, è stato pubblicato un articolo riguardo alla “svolta” delle major in favore del
file sharing musicale, dopo anni ed anni di battaglie ed intimidazioni nei confronti di chi ha condiviso musica
sulle reti p2p.
Chissà, forse semplicemente (come lascia intendere l’articolo) lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie
hanno convinto anche gli impresari, i dirigenti e i manager più ottusi dell’impossibilità di arginare la
circolazione della musica. Uhm…possibile che sia tutto qui? Ci staremo quindi davvero avviando verso il LIBERO
accesso ai contenuti?
O forse, invece, non è che dovremmo prendere seriamente in esame alcune considerazioni di C.Formenti in
“Cybersoviet. Utopie post-democratiche e nuovi media”?:

“La convinzione che nessuna legge può disciplinare i comportamenti del popolo della rete presuppone l’idea secondo
cui una legge sarebbe efficace solo nel caso in cui ottenga l’obbedienza generalizzata e assoluta dei soggetti a
cui si applica. Ma le cose non stanno affatto così: il vero obiettivo di ogni legge, come notano giustamente
Goldsmith e Wu, è alzare i rischi associati ad una determinata attività per limitarne la diffusione a livelli
accettabili: il che significa che il persistere di percentuali statisticamente irrilevanti di certi comportamenti
illegali può essere pienamente compatibile con la finalità della legge che li sanziona. Paradigmatico, in tal
senso, appare proprio il caso della repressione legale dello scambio non autorizzato di file audio e video tutelati
da copyright, che gli ultralibertari citano viceversa a sostegno delle proprie tesi: il punto non è affatto quello
di stabilire se la repressione legale sia riuscita a “stroncare” questa pratica, bensì quella di accurare se sia
riuscita a contenerla entro limiti compatibili con gli interessi strategici dell’industria culturale. Dando quindi
per scontato che il controllo giuridico sulle attività online non potrà mai essere pari a quello sulle attività
offline, tutto sta nel determinare quale sia, nel caso in questione, il livello statistico accettabile di
infrazioni. Se vediamo le cose dal punto di vista dei crociati del “proibizionismo” assoluto (che è quell della
vecchia industria culturale), l’obiettivo è stato mancato, in quanto le reti p2p hanno continuato a prosperare, in
barba alla chiusura di Napster e altri network “pirata” e alle migliaia di denunce piovute sui singoli utenti. Ma
se, viceversa, guardiamo le cose dal punto di vista della nuova industria culturale (incarnata da società come
Apple) l’obiettivo è stato pienamente raggiunto, in quanto il clima di pressione psicologica generato dalle leggi
sul copyright ha contribuito in maniera decisiva al decollo del mercato legale di file musicali. La strategia
“proibizionista” non avrebbe in ogni caso potuto impedire che l’innovazione tecnologica determinasse una mutazione
radicale nelle modalità di fruizione della musica, ma si è rivelata piuttosto efficace nel creare condizioni
ambientali adatte allo sviluppo di modelli di business all’altezza dell’era digitale.”

E se fino a qualche anno fa si faceva almeno finta di considerare la posizione degli autori e la creatività, adesso conta solo l’industria e come riciclarla nell’era digitale… e di colpo la “vittoria” del p2p contro le leggi sul copyright assume un retrogusto molto amaro!:

Ecco l’articolo di Repubblica:

Basta coi tribunali, le major del disco si arrendono
Repubblica — 20 gennaio 2009

«Basta fare guerra a chi scarica la musica su Internet. Mandarli in galera non ci farà guadagnare un solo dollaro in più. L’ industria deve dare ai consumatori quello che vogliono, in maniera legittima, assicurandosi che gli artisti, i compositori e le case discografiche siano pagate». Chi alza bandiera bianca di fronte alla “pirateria informatica” è Feagarl Sharkey, responsabile di Uk Music, l’ associazione che mette insieme discografici, artisti e produttori del più florido mercato musicale europeo, quello inglese. «La lotta al downloading non ha prodotto risultati rilevanti. C’ è bisogno di un nuovo approccio al problema del file sharing, e c’ è il consenso di tutti a lavorare con i fornitori di accesso per consentire una nuova politica» dice John Kennedy, presidente dell’ Ifpi, la Federazione Internazionale dell’ Industria Fonografica, presentando, in occasione del Midem di Cannes, il “Digital Music Report 2009”, dove c’ è scritto a chiare lettere che il 95% della musica on line viene scaricata dai siti illegali. Per le major del disco è un cambiamento di rotta radicale, sottolineato da tre grandi novità: alla fine di dicembre, l’ associazione dei discografici americani, la Riaa, aveva annunciato di rinunciare alla strategia che li aveva portati a fare causa a circa 35.000 “pirati” che avevano scaricato illegalmente musica da Internet, non intraprendendo più alcuna azione legale; a gennaio la discografia ha annunciato di aver chiuso l’ accordo con la Apple per togliere le limitazioni alle copie alle canzoni scaricate legalmente da iTunes; e a Cannes Tero Ojampero della Nokia ha annunciato che la sua azienda lancerà nei prossimi mesi su tutto il territorio europeo il suo nuovo servizio “Comes with music”, che consente con un unico pagamento di scaricare per un anno sul cellulare canzoni senza limiti. Insomma, a Cannes, dopo dieci anni di inutili battaglie legali, dopo aver fatto chiudere decine di siti di file sharing illegale e combattuto una infruttuosa guerra ai “pirati”, l’ industria discografica ha ufficialmente annunciato la fine di un’ era e l’ inizio di una strategia nuova. Visto che il file sharing non può essere combattuto, visto che la musica gratis è una realtà incontrovertibile, «meglio adattarci a questa realtà», dice ancora Sharkey, «Il 2009 sarà l’ anno in cui l’ industria della musica smetterà di preoccuparsi e imparerà ad amare la bomba. Il file sharing on line va trasformato in un opportunità, in una fonte di ricavi». E’ una rivoluzione sostenuta quasi da tutti i partecipanti al Midem, la grande fiera della musica che ogni anno vede radunarsi musicisti, discografici, produttori di tutto il mondo, da Peter Jenner, ex manager dei Pink Floyd, di Marc Bolan e dei Clash («E’ del tutto inutile fare causa a gente che non ha soldi»), a Mark Kelly, musicista dei Marillion («L’ idea di portare in tribunale chi ama la nostra musica mi è sempre sembrata sbagliata. E’ non ha prodotto alcun risultato»), fino a Eric Nicoli, fino a qualche mese fa amministratore delegato della Emi («Chiaramente abbiamo fatto degli errori, siamo stati tecnofobici, non abbiamo saputo cogliere le opportunità. Autorizzare Napster dieci anni fa non era la soluzione, ma fargli causa non ha prodotto alcun risultato»). «Cercare di fermare il file sharing è stata una sostanziale sconfitta», ha sostenuto Gerd Leonhard, uno dei massimi esperti del settore «Invece di mettere in galera i ragazzi bisogna cercare accordi con le compagnie telefoniche, che dal file sharing guadagnano moltissimo. Cerchiamo accordi con loro per compensare un consumo di musica che è cresciuto esponenzialmente». Ed è questa la linea che l’ industria discografica vuole imporre, cercando di far entrare nella partita anche i governi: «I governi stanno cominciando ad accettare l’ idea che non fare nulla non è un’ opzione», dice ancora John Kennedy. E una risposta al Midem è già arrivata, anche se da un paese piccolissimo come l’ Isola di Man, che ha creato una licenza per i fornitori di accesso a Internet che consente agli utenti di pagare una quota fissa mensile (che poi viene girata all’ industria musicale) e scaricare tutto quello che si vuole. I numeri? Li fa Gerd Leonhard: «Se potessimo avere una licenza in grado di far pagare a chi si connette a Internet un solo euro al mese per poter scaricare liberamente la musica, l’ industria potrebbe guadagnare 500 milioni di euro al mese, circa 26 miliardi di euro l’ anno». Il modello è quello che dai primi anni del ‘900 è in vigore per le radio, che consentono di ascoltare musica gratis, ma che pagano una licenza per poterlo fare. «Alla fine di tutto quello che conta è la musica», tiene a sottolineare Feargal Sharkey, «e dobbiamo tornare a pensare alla musica prima di tutto». – Ernesto Assante Cannes


2 Comments on “Ma quale vittoria del p2p?”

  1. 1 InfoFreeFlow said at 1:23 pm on Febbraio 6th, 2009:

    Sia ben chiaro: non siamo mai stati così ingenui da ritenere che la censura fosse un retaggio del passato o una declinazione tecnologica dell’autoritarismo dei regimi del sud est asiatico.

    Tanto l’affare Comcast quanto quello nostrano di P…

  2. 2 InfoFreeFlow said at 1:25 pm on Febbraio 6th, 2009:

    Sia ben chiaro: non siamo mai stati così ingenui da ritenere che la censura fosse un retaggio del passato o una declinazione tecnologica dell’autoritarismo dei regimi del sud est asiatico.

    Tanto l’affare Comcast quanto quello nostrano di P…