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sistema cultura italia: nuovi mostri, vecchi interessi

Posted: Gennaio 28th, 2007 | Author: | Filed under: materiali | Commenti disabilitati su sistema cultura italia: nuovi mostri, vecchi interessi

forse una delle trovate più belle di Fascisti su marte è la satira del burocratismo del regime che, per (evitare di) risolvere i problemi della popolazione, creava ad hoc sempre nuovi consigli, organizzazioni, federazioni, comitati… non si creda che da questo cambiamento di sigle uscisse fuori qualcosa di buono: i guai rimanevano tutti lì, irrisolti. anzi, il continuo mutamento di nomi, e le finte alternanze dirigenziale, lasciavano i sudditi italiani privi persino del minimo mezzo di rivalsa (la bestemmia ad personam), tanto che viene da pensare – ma si sa, siamo sempre noi i malpensanti – che questi fossero tutti trucchi per nascondere i misfatti del fascismo e per continuare a fare gli interessi di quelle classi che il fascismo spalleggiava.

forse in questa tendenza a moltiplicare le sigle per non risolvere nulla o per nascondere tutto sta una delle eredità più visibili e profonde dell'Italia fascista. negli ultimi 60 anni di repubblica italiana si sprecano i casi di queste correzioni fasulle: nuovi enti sostituiscono i vecchi cambiando un paio di lettere nell'intestazione, ma badando bene a non mettere riparo ai disastri compiuti in passato, nuove commissioni governative vengono istituite per poi naufragare come le precedenti, ogni governo porta con sé la nascita di qualche innovativo organo per la tutela dei cittadini etc… forse – chissà! – anche il berlusconiano andazzo di rinominare le società fallimentari ha le sue radici nel simpatico giochetto della burocrazia fascista. in ogni caso, l'esito di questa proliferazione di nomi è sempre la creazione di nuovi mostri a partire da vecchi interessi.

tuttavia, nonostante questa deprimente cornice, si deve ogni volta andare a capire come, perchè, con quale scopo, si mettano nomi nuovi alle cose vecchie. bisogna, infatti, stare sempre attenti: in fondo, dietro tutti questi giri, ci sono pur sempre interessi concreti, politici ed economici

è così che non si deve prendere sottogamba una notizia che è apparsa un po’ di sfuggita sui giornali ed in rete. il 19 dicembre 2006, dalle parti di Confindustria, è nato Sistema Cultura Italia, la Federazione Italiana dell'Industria Culturale. le facce ed i nomi, si sa, sono sempre quelli: la nuova Federazione, infatti, riunisce le associazioni delle imprese editoriali, discografiche, multimediali, dell'intrattenimento audiovisivo e dal vivo (nonché le imprese distributrici di tali beni e servizi) che già facevano parte della gloriosa Confindustria.

infatti oltre all'Associazione Italiana Editori (AIE), ci sono dentro anche l'Associazione Fonografici Italiana (AFI), l'Associazione Generale Italiana dello Spettacolo (AGIS), l'Associazione Nazionale Editoria Periodica Specializzata (ANES), l'Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali (ANICA), la Federazione dell'Industria Musicale Italiana (FIMI) e l'UNIVIDEO.

il comunicato stampa ci chiarisce che fra "gli obiettivi della nuova Federazione c'è [1] la tutela dei diritti e degli interessi collettivi degli associati sul piano nazionale, comunitario ed internazionale; [2] la promozione della salvaguardia del diritto d'autore e la proprietà intellettuale in ogni sua forma; [3] la lotta alla pirateria audiovisiva, discografica, editoriale e multimediale in ogni sua forma, modalità di espressione e manifestazione".

obbiettivi chiarissimi, insomma, ed espressi pure con una nettezza ed una forza superiore al consueto. si capisce bene il perchè: appena nato, Sistema Cultura Italia si deve far ascoltare dai rappresentanti delle istituzioni e dalla stampa in generale… non si sa mai: che la novella fosse intesa anche da qualche pirata finora distratto? prestiamo dunque anche noi orecchio alle parole di questi signori: sono davvero istruttive. 

"La nuova Federazione – sottolinea Federico Motta, Presidente AIE, costituisce un'occasione fondamentale per rafforzare il settore culturale nel suo complesso all'interno delle logiche produttive e di sviluppo del nostro Paese […] a partire dalla tutela e dal rafforzamento del diritto d'autore".

Il presidente dell'AFI Luigi Barion esprime grande soddisfazione: "L'AFI – afferma Barion – è convinta che le alleanze strategiche tra le varie Associazioni dell'industria culturale rafforzino lo spirito e la tenacia nelle comuni battaglie a favore degli operatori che affrontano il nuovo scenario dei diritti ed i problemi del mercato".

Alberto Francesconi, il Presidente dell'AGIS, spiega che "la nascita in Confindustria di una Federazione unica che rappresenta l'industria culturale è un traguardo particolarmente significativo sia per la capacità dimostrata dalle singole associazioni di saper guardare oltre il proprio specifico, sia perché in questo modo l'industria della cultura, strategica nel nostro Paese, avrà maggiore visibilità e voce più forte nella stessa Confindustria e nell'interlocuzione con il governo, il Parlamento e gli altri soggetti istituzionali".

Giuseppe Nardella, presidente ANES, fa invece notare che “la nascita del Sistema Cultura Italia costituisce quindi per noi un punto di arrivo, ma anche e soprattutto un punto di partenza."

Per Enzo Mazza, Presidente di FIMI, "l'industria che produce contenuti creativi è un asset fondamentale nell'economia di un Paese. La nascita di questa grande Federazione conferma la volontà delle industrie del settore di essere protagoniste nel rilancio dell'Italia sul fronte della competizione globale".

Davide Rossi, presidente UNIVIDEO, avverte che "la percentuale di spesa dedicata dalle famiglie italiane ai consumi culturali e' rimasta invariata negli ultimi 20 anni. Nonostante le molte nuove tecnologie siamo fermi ad una quota tra il 6 e il 7 % dei consumi totali nazionali.
In questi anni, altri settori come la moda, l'agroalimentare e l'arredamento hanno saputo fare sistema e guadagnare quote di mercato intercettando le maggiori capacità di spesa degli Italiani. Avere finalmente una Federazione unitaria dell'industria culturale e' certamente un passo fondamentale per mettere in campo iniziative che consentano di avviare un ciclo virtuoso e di sviluppo anche per i nostri settori d'impresa".

E Paolo Ferrari, presidente di ANICA aggiunge: "la nascita della Federazione delle industrie della cultura all'interno di Confindustria segna un punto importante per far crescere nel Paese la considerazione della Cultura come bene primario. Un bene che dobbiamo considerare anche da un punto di vista economico, oltre che fondamentalmente culturale."

bisogna leggerle, le dichiarazioni di questi signori, non come la solita retorica. o almeno: è la solita retorica, ma così trasparente che ci fa vedere tutti i motivi del capitalismo dei nostri giorni, e ciò che ha da venire. fra il comunicato stampa e queste fulgide dichiarazioni si trova di tutto, manco fosse "Il manuale del giovane padrone"…

torniamo per un attimo al comunicato ufficiale, a quella specie di piattaforma confindustriale, cercando di tradurre in soldoni il senso di quella pomposa dichiarazione.

innanzitutto (e logicamente), il primo interesse di Sistema Cultura Italia è “[1] la tutela dei diritti e degli interessi collettivi degli associati sul piano nazionale, comunitario ed internazionale”. questo vuol dire soprattutto porre l’unità dinanzi ai conflitti che negli anni passati avevano riguardato il settore, in vista dei più importanti “interessi collettivi”. come dice con retorica quasi poetica e guerresca il presidente dell'AFI Luigi Barion, “queste alleanze strategiche […] rafforzano lo spirito e la tenacia nelle comuni battaglie”.

infatti, può sembrare strano, ma anche agli industriali può capitare di avere interessi che per un determinato periodo non sono perfettamente coincidenti. in particolare in questa fase di rapidissimo sviluppo tecnologico, i produttori di supporti possono, per motivi circoscritti, trovarsi contrapposti ai produttori di contenuti, o alla distribuzione… è evidente: in questa fase il mercato non si è ancora assestato, alcune dinamiche di sviluppo economico apparse negli ultimi decenni non hanno ancora trovato una loro composizione, non esistono ancora definitive strutture di riferimento a far da collante fra il capitalismo “eroico” e rampante dei ragazzi di Google e della Silicon Valley e quello un po’ vetero e novecentesco dei dinosauri delle grosse multinazionali…

anche in passato si sono create queste fratture. ad esempio, nel periodo della nascita delle radio ad onda lunga, o fra le radio ed i produttori dei primi album, fra la radio e la tv, e fra la tv normale e quella via cavo. queste rotture, in cui un determinato “salto” tecnologico (a sua volta previamente alimentato da ricerche delle aziende, dalla pubblicità, dalla produzione e dallo stimolo di nuovi bisogni etc) apriva larghe frontiere di investimento e nuovi modi di profitto – creando così un po’ di panico nei gruppi di potere consolidati – finivano sempre o con la sussunzione di queste nuove aziende all’interno dei trust esistenti, o con un effettivo cambiamento dei rapporti di forza interni al capitale.  

il fatto che Sistema Cultura Italia riunisca frazioni del mondo imprenditoriale i cui interessi negli anni passati erano spesso entrati in contrasto vuol dire che si stanno tentando di comporre le esigenze tattiche delle singole aziende ed organismi rappresentativi con un piano strategico di più largo respiro. come dire: ognuno considera la possibilità di perdere qualcosina sul breve periodo, se può poi mantenere e incrementare i suoi utili sul lungo periodo. è lecito quindi attendersi una maggiore unione da questi diversi gruppi imprenditoriali, ed un escalation della battaglia a favore del copyright sul fronte interno – quello nazionale.

ma ovviamente, nel “grande e terribile” (direbbe Gramsci) mondo globalizzato, quest’unione imprenditoriale non serve solo sul piano interno. infatti, la cosa che farebbe ridere, se non riguardasse così amaramente le nostre vite, è che non esiste una sola borghesia sempre d’accordo con se stessa. e questo né sul piano nazionale né su quello internazionale: checché ne dicano i teorici postmoderni, ampie fette di borghesia europea sono ancora legate ai propri, specifici interessi nazionali, e quindi, pur avendo l’intenzione e la necessità di dover gettarsi nel mercato dell’Unione Europea, le aziende italiane vogliono avere alle spalle adeguate coperture.

anche perché nell’Europa di Inghilterra, Francia, Germania – nonché delle emergenti e tecnologicamente avanzate Irlanda, Svezia, Norvegia, Spagna etc – l’Italia è un po’ un fanalino di coda, essendo ferma all’esportazione di profumi, gonne, ricotte e caciocavalli tipici. ovviamente quest’ultima immagine in realtà è un po’ di comodo: il nostro paese non produce solo moda e agroalimentare, eccome (pensiamo all’industria militare dal bilancio più che florido), soltanto ha bisogno di organismi corazzati per difendersi a livello comunitario dall’assalto dei paesi all’avanguardia nella tecnologia e nella produzione di contenuti (dischi, film, libri, software etc).

e non è ancora finita! la tutela che Sistema Cultura Italia vuole offrire ha anche un respiro mondiale. questo perché ovviamente di borghesia non c’è solo quella europea: a mangiarci sulle rendite di brevetti e copyright per ora sono soprattutto gli Stati Uniti, seguiti dal Giappone, con la Cina e l’India quasi pronte a fare un “balzo in avanti”. è chiaro che in un mondo così competitivo bisogna difendersi, oppure il proprio business va all’aria, ed allora è meglio chiudere bottega. “difendersi”: cioè inventarsi gli adeguati strumenti di tutela, per fare pressione sui governi affinché, ad esempio, destinino una percentuale del PIL alla ricerca tecnologica, alla produzione cinematografica autoctona, o riservino delle quote e dei canali privilegiati alla musica europea piuttosto che a quella americana.      

al punto [2] le cose si fanno ancora più interessanti: qui infatti si parla di “promozione della salvaguardia del diritto d'autore e la proprietà intellettuale in ogni sua forma”. bè, qui non c’è da scherzare: “promozione” vuol dire che ci beccheremo un fracco di campagne informative o terroristiche volte a farci intendere come il diritto d’autore sia la molla del nostro vivere associati, come se lo contestiamo siamo dei barbari affamatori di artisti, e dei traditori della patria, perché condanniamo il nostro paese al sottosviluppo…

rendiamoci conto invece della veemenza di questo linguaggio: diritto d’autore e proprietà intellettuale “in ogni sua forma” vuol dire estendere la sfera della protezione dei contenuti a qualsiasi forma di produzione intellettuale, dalle email agli organismi geneticamente modificati. vuol dire privatizzare e chiudere e incatenare tutto il settore di produzione delle idee, in ogni sua forma. questi sono crociati, unti del signore o para-nazisti, altroché, e c’è poco da scherzare.

ce lo conferma anche il punto [3] che prevede “la lotta alla pirateria audiovisiva, discografica, editoriale e multimediale in ogni sua forma, modalità di espressione e manifestazione”. ritorna questa potentissima espressione “in ogni sua forma”: potentissima perché vaga ed inarticolata, onnicomprensiva ed allo stesso tempo costringente. che vuol dire “lotta alla pirateria” lo sappiamo bene, lo vediamo tutti i giorni; “in ogni sua forma” vuol dire che non si tratta solo di sequestrare dischi e dvd a quelli che producono supporti contraffatti per lucro sfruttando il lavoro degli immigrati (praticamente la versione illegale del capitalista), no, questo non basta più, si deve iniziare a far sul serio anche con i ragazzi che masterizzano, che duplicano, che scaricano, che condividono… la cosa che preoccupa di più è quel “modalità di espressione e manifestazione”: che vuol dire? che se difendiamo sul piano ideologico la pirateria siamo da reprimere? se manifestiamo un dissenso promuovendo a parole certe pratiche siamo da condannare?

l’ambiguità regna sovrana, e forse deve essere così. ma si vede bene che hanno intenzione di picchiare duro: bisogna solo capire quante sponde troveranno nel prossimo futuro – per adesso, col Decreto Urbani, il primo round lo hanno vinto loro. ma attenzione: stiamo parlando solo del round legislativo, perché dal punto di vista sociale il fatto che milioni di utenti scarichino e masterizzano alla faccia di leggi e punizioni, e nonostante anni di lavaggio del cervello, ci fa legittimamente pensare che dalla nostra abbiamo ancora parecchie carte

questa lettura delle cose esce poi rafforzata dal confronto con le dichiarazioni fornite dai presidenti delle varie associazioni di categoria, che pare quasi si siano divisi le parti. il presidente  dell’AIE, Federico Motta, parla ad esempio di "tutela e dal rafforzamento del diritto d'autore"…

la "tutela" come al solito vuole semplicemente dire che non si potranno copiare dischi, scaricare file, fotocopiare libri etc, e che, come detto, si andrà sul duro: verranno repressi tutti i tipi di pirateria. se hai un cd masterizzato a casa ti conviene costituirti, altrimenti saranno cazzi – ed anche amari, pare.        

                                  

"rafforzamento" è invece più interessante. fra le altre cose, vuol dire l’innalzamento della durata del diritto d’autore. “quanto dura adesso il copyright?” – si chiedono questi signori – “70 anni dalla morte dell'autore? bene, allora facciamolo durare di più!”. che le cose stiano così, cioè che si punti ad alzare la soglia oltre i settant'anni, è dimostrato dal fatto che la SIAE (che con queste associazioni imprenditoriali ci va a braccetto, condividendo scopi, finalità, pratiche ed anche un paio di poltrone in tavoli importanti) ha appoggiato, su proposta dell’ultimo discendente di Luigi Pirandello, il progetto di estensione della durata del diritto d’autore a 76 anni ed 8 mesi.

la cosa sta così, anche se fa un po’ ridere: nel gennaio 2007 sono scaduti i copyright sull’opera pirandelliana (e ci mancherebbe, è passato un secolo!), quindi adesso chiunque può stampare legalmente i testi del grande scrittore, li può reinterpretare, può allestire spettacoli etc… la famiglia Pirandello, che per buoni settant’anni su quei proventi c’ha eretto una bella vita parassitaria, non vuole perdere il suo stipendio, e quindi fa notare che in Francia ed in Inghilterra il diritto d’autore dura 6 anni ed 8 mesi in più perché le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale misero nei trattati di pace una clausola che gli consentiva di recuperare il commercio e le royalties perse nel lungo periodo di guerra. “passati sessant’anni, ha ancora senso questo provvedimento?”, si chiedono gli ultra-nipoti di Pirandello, rispondendosi di no, evitando però di chiedersi se dopo cent’anni ha ancora senso che mangino con i denti del loro trisavolo…

d’altronde questa storia è un po’ l’analogo delle farse statunitensi su Topolino (i cui diritti scadevano nel 2000, ma glieli hanno allungati retroattivamente nel 1998 con il Copyright Extension Act voluto dalla Disney) e su James Joyce, il grandissimo scrittore irlandese, il cui copyright è prima decaduto nel 1991 (quando il diritto d’autore durava 50 anni), per poi tornare attivo nel 1999, quando l’Europa ha recepito la legislazione statunitense, tramite il WIPO, una di quelle simpatiche organizzazioni trasnazionali iperliberiste legate al WTO.

Disney tanto quanto era nazista, ma chissà che ne avrebbero pensato i poveri Joyce e Pirandello (e lasciamo stare l’iscrizione di Pirandello al PNF, per carità)…

insomma, morale della favola: al di là degli esiti, forse negativi, della richiesta d’estensione del copyright, ecco che, a distanza di un mese, Sistema Cultura Italia è già riuscito a porre all’attenzione generale uno degli obbiettivi più importanti che si propone… questi signori hanno capito che poiché non si può fare una legge del tipo: “il copyright deve durare per sempre” – alla gente potrebbero pure alla fine girare i coglioni   allora è meglio rinnovare di vent’anni in vent’anni. la cosa è indolore, non sembra definitiva, e poi c’è tempo di fare un lungo e articolato lavoro di pressione…

tornando al nostro problema, ci sono altre interessanti dichiarazioni da prendere in considerazione: Alberto Francesconi, il Presidente dell'AGIS, sottolinea "la capacità dimostrata dalle singole associazioni di saper guardare oltre il proprio specifico” – e questo è ormai chiaro, ma ci dice pure che Sistema Cultura Italia darà “maggiore visibilità e voce più forte nella stessa Confindustria” (perché al momento si scannano fra di loro per dividersi le briciole dei profitti)  e, soprattutto, “nell'interlocuzione con il governo, il Parlamento e gli altri soggetti istituzionali". questo è un eufemismo per dire: fare pressione sul governo, ed ostacolare eventuali provvedimenti contrari ai loro interessi…

proprio per questo Giuseppe Nardella, presidente ANES, ci dice che la nascita del Sistema Cultura Italia costituisce non solo un punto di arrivo, ma “anche e soprattutto un punto di partenza”… come dire: ora che ci siamo coalizzati viene il meglio!

viene spontaneo chiedersi perché allora la federazione si chiami “Sistema Cultura”, cioè: che c’entra la cultura con tutto questo? per Enzo Mazza, Presidente di FIMI, “l'industria che produce contenuti creativi è un asset fondamentale nell'economia di un Paese”. sarà anche un asset, come dicono loro, ma quell’asset non ha niente a che vedere con ciò che intendiamo noi – e che nella storia umana è stato inteso – per cultura: non uno dei tanti modi di fare soldi, indipendentemente dalla merce venduta, ma uno strumento di emancipazione, di critica dell’esistente, di realizzazione dell’uomo e delle sue potenzialità, un modo per combattere l’appiattimento celebrale, il degrado, l’imbarbarimento della vita collettiva.

decisamente non la intendono così questi signori, i quali hanno letto solo il loro manuale, alla voce mercificazione, ovvero come fare a sussumere l'arte, la cultura e la produzione spirituale nel processo del capitale. ce lo confermano le parole di Paolo Ferrari, presidente di ANICA: “la nascita della Federazione delle industrie della cultura all'interno di Confindustria segna un punto importante per far crescere nel Paese la considerazione della Cultura come bene primario. Un bene che dobbiamo considerare anche da un punto di vista economico”.

non ci dobbiamo stupire: il “bene primario” è per loro fare quattrini – ovviamente a scapito di qualcuno, ché i quattrini non spuntano dal terreno… però ci poteva credere Pinocchio alla storia di piantare le monete d’oro e vederne crescere un albero. noi sappiamo bene che in questo giro chi ci rimarrà sotto sarà quella maggioranza di popolazione che non disporrà degli strumenti per accedere alla conoscenza ed alle idee (quelle sì che crescono come un albero se le pianti: non sono certo merce rara, nell’accezione economica del termine: basta un masterizzatore o una rete p2p…)

non si tratta ovviamente di strapparsi le vesti di fronte allo scempio dell’alta cultura messa alla pari di una sedia o di un bullone: buona parte di ciò che spacciano per cultura, oggi, è solo un modo più raffinato di renderci schiavi, di distrarci, di anestetizzarci, facendoci seguire mode effimere quanto immotivate… né si può tornare indietro verso chissà quale età dell’oro in cui la cultura era un bene comune e di tutti, slegata da logiche di potere… si tratta invece di andare avanti, e rivendicare per tutti ciò che solo oggi è possibile: un accesso completo al sapere, una totale, libera, circolazione di idee ed esperienze intellettuali ed artistiche. pare sconveniente dirlo dopo il novecento – in tempi di guerra al terrorismo poi! – ma questa cosa non la si può avere senza cambiare le fondamenta della nostra società

in conclusione, non ci è dato sapere adesso, se Sistema Cultura Italia, questo nuovo mostro, sarà il solito cambio di sigle che non avrà poi tanto peso, oppure se la formalizzazione in sigla di un accordo fra alcune delle maggiori federazioni industriali (esponenti di frazioni di borghesia finora parzialmente in attrito fra loro) porterà effettivamente ad un loro rafforzamento sul piano lobbystico di influenza e pressioni su governo, istituzioni, aziende e cittadini. è quantomeno lecito credere ne “la seconda che hai detto”: quando si tratta di fare i loro, soliti, vecchi, interessi i cambi di nome servono eccome

ci rimane solo una domanda, a cui dovremo noi per primi, nei prossimi tempi, dare una risposta. se i padroni, i parassiti ed i loro rappresentanti son sempre lesti ad allearsi, superando anche il conflitto di interessi interno alla loro classe, noi – che benefici non ne vediamo mai, e che in quelle classi e quegli interessi non possiamo riconoscerci, perché innanzitutto li subiamo – che dobbiamo fare? non è che per caso, almeno come loro, dovremmo pensare a unire i percorsi di lotta, a dotarci di rivendicazioni concrete, a metterle in atto attraverso azioni collettivamente pianificate?

noi la buttiamo lì: visto che di lotte ancora aperte ce ne sono parecchie, visto che il conflitto riguarda ora più che mai la società umana, sarebbe ora di iniziare a ricostruire un percorso comune di lotta, per tentare di nuovo di fare le scarpe al capitale. al capitale – è proprio il caso di dirlo – in ogni sua forma.


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