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diffida di creative commons…

Posted: Gennaio 7th, 2009 | Author: | Filed under: news | Commenti disabilitati su diffida di creative commons…

La notizia, di qualche giorno fa, e che c’eravamo dimenticati di postare, si commenta da sé. quando troveremo un po’ di tempo vi mostreremo i risultati di una piccola ricerchina: l’amico Joi Ito ha partecipazioni in svariate imprese, elabora software per la marina militare americana e non se la passa poi tanto male… franchement, il faut se méfier!

Creative commons e Siae
Copyright al tempo del web

A Milano il dibattito tra Joi Ito, numero uno del movimento per la riforma del diritto d’autore (“Così com’è garantisce solo le grandi realtà”), e Giorgio Assumma, presidente Siae (“Attenti, internet non è gratis”)
di RICCARDO BAGNATO

MILANO – Immaginatevi un dialogo fra lo scrittore filosofo Luciano De Crescenzo e Jerry Yang, il fondatore di Yahoo! Improbabile dite? Sarà. Eppure quello andato in scena stamane a Milano fra Joi Ito, numero uno del movimento Creative Commons per la riforma del diritto d’autore, e Giorgio Assumma, presidente Siae, Società italiana autori e editori, ci assomigliava non poco. Due universi paralleli a confronto, sempre sull’orlo di incontrarsi e andare d’accordo, per poi allontanarsi improvvisante marcando di volta in volte le differenze che li separano.

Un giovane ricercatore americano di origini asiatiche da un lato, e un esperto avvocato degno dei tempi che furono dall’altro. Il presente e il passato, insomma, uno di fronte all’altro moderati da Massimo Micucci, presidente Retionline che ha organizzato l’evento. E al centro del contendere il diritto d’autore di un’opera d’ingegno – che sia un libro o un disco – e le relative libertà di deciderne il destino: se renderla ad esempio pubblica gratuitamente o no, e soprattutto come garantire l’eventuale retribuzione dovuta agli autori dell’opera.

Un problema dibattuto da anni e ben conosciuto da coloro che navigano in Internet, dove ad esempio è possibile scaricare file audio e video di artisti noti e meno noti, spesso senza nemmeno pagare quanto per legge è dovuto all’autore. E intaccando – denunciano case discografiche e cinematografiche in primis – i proventi destinati alle pur floride casse dell’industria dell’intrattenimento.

Un vero e proprio braccio di ferro, insomma, quello fra gli utenti e gli artisti emergenti da un lato, e la grande industria della musica, del cinema, e in molti casi dell’editoria dall’altro. In mezzo, almeno per quanto riguarda l’Italia, la tanto vituperata Siae, ovvero l’ente pubblico economico a base associativa, preposto alla protezione e all’esercizio dei diritti d’autore, presente in forze all’incontro dal titolo “Copyright e Creative Commons. Diritti e poteri sul web”.

L’arrivo di Creative Commons. Già, perché da quando nel 2001, il professor Lawrence Lessig, ordinario della facoltà di Giurisprudenza di Stanford, propose di affrontare il problema del copyright concedendo all’autore il potere di decidere in completa autonomia il destino della propria opera, da quel momento, la cosiddetta licenza Creative Commons, altrimenti conosciuta come CC, ne ha fatta di strada e le cose sono cambiate.

Solo in Italia, ad esempio, Creative Commons è stato utilizzato recentemente da Feltrinelli, da La Stampa Alternativa e da La Stampa di Torino per vari inserti culturali, solo per citare alcuni esempi. Si stimano all’incirca 5 milioni di contenuti, (per lo più pagine html, ma anche video e libri) con licenza Creative Commons. Mentre nel mondo, sono almeno 200 milioni i contenuti protetti con questo marchio.

Concretamente, come si legge sul sito dell’organizzazione, le licenze Creative Commons offrono sei diverse articolazioni dei diritti d’autore per artisti, giornalisti, docenti, istituzioni e, in genere, creatori. Il detentore dei diritti può non autorizzare a priori usi prevalentemente commerciali dell’opera (opzione Non commerciale, acronimo inglese: NC) o la creazione di opere derivate (Non opere derivate, acronimo: ND); e se sono possibili opere derivate, può imporre l’obbligo di rilasciarle con la stessa licenza dell’opera originaria (Condividi allo stesso modo, acronimo: SA, da “Share-Alike”). Le combinazioni di queste scelte generano le sei licenze CC, disponibili anche in versione italiana.

Si tratta in sostanza di uno strumento tecnico e giuridico che permette all’autore di un qualsiasi contenuto (ad esempio libri, musica, video) di scegliere liberamente quali diritti di proprietà intellettuale riservarsi e quali cedere per l’utilizzo da parte di terzi. Una soluzione alternativa, cioè, al dispositivo giuridico di “Tutti i diritti riservati”. E che con la sua flessibilità permette agli utenti del Web di fruire dei contenuti disponibili in rete, modificarli e migliorarli.

Quali diritti sul Web? E così, in occasione dell’incontro, tocca allo stesso Joi Ito portare il primo affondo. “Io sono un fotografo amatoriale”, ha detto, “e ovviamente ho pubblicato le mie foto online proteggendole con una licenza CC. Con sorpresa devo ammettere che il cento per cento dei siti o blog che usano le mie foto riportano il nome dell’autore così come richiesto dalla licenza, mentre mai nessun giornale o editore che utilizza le mie foto ha scritto da chi erano state scattate”. In altre parole – spiega l’amministratore di Creative Commons – il diritto d’autore, così come è adesso, garantisce essenzialmente le grandi realtà, ma non serve a chi non si può permettere avvocati o processi, o semplicemente al normale cittadino della rete che vorrebbe difendere la sua opera di ingegno.

Pronta la risposta della Società degli autori e editori: “La regole della Siae non le fanno gli Ufo”, ha tenuto a precisare il vicepresidente della società autori editori, Lorenzo Ferrero, “le decidono gli autori e gli editori”. Come a dire: attenzione, non ci stiamo a essere il capro espiatorio solo perché ci chiamiamo Siae. E il portavoce dell’ente, Sapo Matteucci, rincara la dose: “Attenzione: internet non è questo paradiso in cui tutto è gratis. Vi dicono che potete scaricare quello che volete, ma in realtà lo pagate, solo che i soldi arrivano agli operatori delle telecomunicazioni che vi vendono la connessione e non agli autori e agli editori”. E Virginia Filippi, consulente Siae, aggiunge: “E’ vero che internet ha ampliato il mercato, e quindi le possibilità di guadagno, ma è proprio la difficoltà di ricondurre questo valore extra al diritto d’autore che preoccupa. Di fatto le entrate per gli autori quest’anno si sono ridotte del 30 per cento”.

Un dato in controtendenza, almeno a sentire quanto ha dichiarato proprio oggi la Atlantic records, del gruppo Time Warner, nota per aver pubblicato album e cd di famosi artisti come Ray Charles, John Coltrane e i Led Zeppelin. Secondo la società il 51% del proprio fatturato del 2008, infatti, proviene dall’online, mentre il restante attraverso i supporti fisici tradizionali come cd, dvd.

Numeri alla mano. D’altra parte, secondo una ricerca del luglio 2008 presentata in occasione del convegno, il 53 % pensa che scaricare da internet danneggi molto o abbastanza l’autore, mentre il restante 47 % poco o per nulla. Campione spaccato a metà, quindi, di cui però il 60 %, chiede la fruizione gratuita delle opere, contro un 40% che preferisce che le cose rimangano come sono ora. Mentre il 45% dichiara di aver fatto uso di software scaricati gratuitamente da internet, e il 32% di aver scambiato frequentemente file musicali, video e/o immagini.

L’esempio olandese e danese. “La licenza Creative Commons non vale per tutte le situazioni” ammette Ito “bisogna vedere caso per caso. E’ chiara però è la differenza fra una normale gestione del diritto d’autore e quello che proponiamo. E cioè ad esempio, per utilizzare un’opera, secondo il modello attuale, genericamente bisogna chiedere preventivamente il permesso, mentre con la licenza CC tale permesso è definito a monte dall’autore”.

Una differenza non da poco, tanto che in Olanda e in Danimarca le società di autori e editori, rispettivamente Buma/Stemra e Koda, hanno adottato in via sperimentale le licenze Creative Commons come alternativa possibile per gli autori di quei paesi. Cosa che in Italia, fra riunioni, gruppo di studio e promesse, non è ancora stato fatto, e che lo stesso Juan Carlos De Martin, a capo della sezione italiana di Creative Commons, presente al convegno, ha chiesto nuovamente di prendere in considerazione. A rispondere, il solito, affabile, Assumma: vediamoci, parliamone, entrate nei gruppi di analisi della Siae. Come a dire: dobbiamo cambiare, ma ci vuole tempo e volontà politica. Chi ha orecchie per intendere, intenda.

(27 novembre 2008)


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