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UNA NUOVA LEGGE CONTRO LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CONTENUTI… A CHI CONVIENE?

Posted: Marzo 19th, 2009 | Author: | Filed under: news | Commenti disabilitati su UNA NUOVA LEGGE CONTRO LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CONTENUTI… A CHI CONVIENE?

Tra circa un mese, così come annunciato orgogliosamente dal Comitato Anti-Pirateria del governo Berlusconi, sarà pronta una proposta di legge contro il p2p e la libera circolazione dei contenuti su internet. Già da ora però non è difficile immaginare chi ne farà le spese: la stragrande maggioranza degli utenti del web, e tutti quelli che utilizzano la rete per accedere liberamente a quei contenuti che il mercato editoriale, discografico e cinematografico ha trasformato in privilegi, a disposizione solo di chi può ancora spendere nei megastore della grande distribuzione.

Questa nuova offensiva nei confronti dell’accesso alle conoscenze è innanzitutto l’ennesima puntata di una battaglia interna al grande capitale, tra soggetti economici in competizione tra loro. Soggetti che, già da qualche anno, utilizzano gli autori, gli artisti, gli appassionati e i semplici utenti come carne da macello per alimentare, di volta in volta, l’uno o l’altro modello di business.

Infatti da un lato ci sono gli editori e la grande distribuzione “tradizionale”, aggrappati con le unghie e con i denti al copyright nella sua versione più rigida ed escludente, quella del “tutti i diritti riservati” (fino a pochi anni fa l’unica che conoscevamo); dall’altro le nuove aziende che operano prevalentemente sul web. Aziende che traggono profitto dalla pubblicità abbinata ai contenuti immessi dagli utenti, e dalla raccolta dei loro dati e preferenze, da utilizzare poi per campagne di marketing mirate e per la produzione ad hoc di nuovi prodotti (pensiamo ai vari Google, Youtube, MySpace, Facebook etc).
Per quest’ultimi soggetti il copyright va bene solo in alcuni casi: quando riguarda il proprio marchio o i propri software. Mentre per quel che concerne le opere d’ingegno e i contenuti che veicolano (realizzate, stavolta, dagli autori e dagli utenti del web) si auspica ipocritamente un ammorbidimento della normativa, per arrivare a quello che un triste slogan ha definito un “copyright flessibile”. Flessibile, per adattarsi meglio alle proprie strategie d’impresa, non certo per compensare gli autori indipendenti che, in questo contesto, sono totalmente esclusi da qualsiasi ripartizione di proventi.

Risulta chiaro che in nessuno di questi due casi si va incontro alle necessità degli utenti della rete, che li si consideri fruitori o autori di contenuti. Questi, infatti, o sono costretti a ricorrere all’illegalità (spesso con la complicità tutt’altro che disinteressata delle aziende di cui sopra), oppure si trovano ad interagire in ambienti sempre più mercificati e standardizzati.

Dal punto di vista politico-legislativo, questo conflitto più o meno latente (si pensi alla richiesta plurimilionaria di risarcimento danni avanzata l’estate scorsa da Mediaset nei confronti di Youtube), che non di rado viene gestito con accordi e partnership temporanee, ha dato adito, negli Stati Uniti così come nei paesi europei, ad una serie di proposte che hanno cercato “soluzioni di compromesso”, a partire però sempre e comunque da una decisa repressione della libera condivisione tra “peer” (“pari”).

È in tale quadro che si possono comprendere le ultime iniziative in merito del governo italiano. Partiamo dal 15 Settembre 2008, giorno in cui è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il sopracitato “Comitato tecnico contro la pirateria digitale e multimediale” composto da diversi soggetti istituzionali e dal presidente dell’immancabile S.I.A.E. Compiti di questo nuovo organismo: coordinare azioni contro la libera circolazione delle opere dell’ingegno e studiare e predisporre proposte di legge per reprimere questo fenomeno… Il tutto perfettamente in linea con la cosiddetta “Dottrina Sarkozy”, un pacchetto di norme messo a punto nel Novembre 2007, che arrivava a prevedere, in caso di download illegale, la sospensione dell’accesso ad internet e la chiusura dell’abbonamento (con tanto di pubblicazione su una “lista nera” dei pirati interdetti alla connessione). Tutto questo tramite la collaborazione dei provider, retribuiti per le loro prestazioni sbirresche come ogni vigilantes che si rispetti.

Sebbene il presidente francese se la fosse preparata bene, pensando di sfruttare la sua presidenza del Consiglio dell’Unione Europea per far passare in tale sede le sue politiche, la sua “dottrina” è stata recentemente bocciata sia dal Parlamento che dalla Commissione Europea. Ciò non ha impedito che dalle nostre parti qualcuno non abbia perso tempo e, seguendo le orme della proposta francese, abbia fatto circolare in rete una bozza di disegno di legge che ne ricalca lo spirito e i contenuti.

Infatti, se si entra nel merito delle disposizioni, si vede che gli elementi caratterizzanti del documento sono due. In primis si prevede esplicitamente il coinvolgimento dei “prestatori di servizi della società dell’informazione” a cui il governo attribuirebbe “specifici profili di diretta responsabilità civile, amministrativa e penale” e “obblighi di controllo e rendicontazione ai fini di una corretta attribuzione delle remunerazione ai corrispondenti titolari dei diritti sulle opere dell’ingegno”. Un modo, insomma, di istituire dei veri e propri vigilantes della rete – e stavolta non vengono tirati in ballo soltanto i provider ma anche tutti gli altri intermediari della comunicazione che operano sul web…
In secondo luogo, nella bozza del ddl si rafforza l’attività repressiva in senso stretto: si prevedono infatti “sistemi sanzionatori prevalentemente di natura civile ed amministrativa, nonché di natura penale per i casi più gravi di violazioni, intendendosi per tali non solo quelle di interessi maggiormente rilevanti, ma anche quelle caratterizzate da ripetitività, abitualità, professionalità”.
In ultimo, come se non bastasse, viene invocato anche un maggiore controllo governativo sui contenuti per la salvaguardia “dell’ordine pubblico e del buon costume”… Come dire: un po’ di censura, magari nei riguardi di siti “scomodi”, non ci sta mai male.

Questo mix di politiche di controllo e repressione (che molto probabilmente sarà alla base, da qui ad un mese, anche della proposta ufficiale del Comitato) dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, che le potenzialità insite nelle nuove tecnologie vogliono essere sfruttate solo per sostenere i profitti delle aziende leader del mercato del web e non certo per incoraggiare la libera circolazione di idee, saperi, conoscenze, strumenti informatici e contenuti artistico-letterari.

Lottare contro questo progetto, sostenuto da imprese “vecchie” e “nuove”, da “dinosauri” e “giovani creativi”, con l’assoluta collaborazione dei governi, è di importanza vitale per il futuro del web inteso come strumento per favorire l’accesso alla cultura e lo sviluppo delle conoscenze attraverso la collaborazione reciproca degli utenti.

Concretamente, ciò vuol dire smascherare pubblicamente i meccanismi che operano in questa fase, praticare la libera condivisione dei contenuti sul web (e non solo) in maniera consapevole, e supportare i progetti di natura politica che promuovono queste pratiche, diffondere il No-Copyright come l’unica strada percorribile per gli autori e i fruitori di opere dell’ingegno tagliati fuori dal mercato “tradizionale” e digitale.
E, ancora, vuol dire anche schierarsi decisamente contro tutte le leggi classiste e liberticide, per l’emancipazione degli autori/fruitori di cultura dalle esigenze di bilancio delle imprese, per una condivisione di contenuti realmente libera e non-mercificata.


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